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Scienza delle mie brame - seconda parte

Nella prima parte del post intitolato Scienza delle mie brame ho concluso dicendo che il mondo contemporaneo ha bisogno di una maggiore cultura scientifica. Una crescente alfabetizzazione al linguaggio e al pensiero scientifici è auspicabile per diverse ragioni. Una di queste ha di certo a che fare con il potenziamento delle capacità cognitive, intellettive e della consapevolezza. Una maggiore padronanza del pensiero scientifico consente di leggere la realtà con occhi più attenti e sensibili, consente di percepire i fenomeni in modo più chiaro e sfaccettato, insomma consente una interpretazione del mondo e di noi stessi più articolata e raffinata, più ricca e complessa, in grado di cogliere i nessi e le sfumature.



Ma proprio per favorire quanto auspicato bisogna fare chiarezza su come funziona la scienza e bisogna stare attenti ad eventuali distorsioni e sopravvalutazioni, nonché a fare i conti con gli interessi dei potentati economici e politici intorno ai progressi tecnologici e scientifici.

Una maggiore consapevolezza del metodo scientifico e una più raffinata capacità interpretativa, quindi, sarebbero utili anche a difenderci da ciarlatani e sedicenti esperti, da facili manipolazioni, pericolosi pregiudizi e sciocche superstizioni.

Ora, proprio in questi ultimi mesi, a causa dell'emergenza covid-19, la questione dell'importanza della scienza è emersa e deflagrata in tutta la sua potenza. Come accade spesso, sembra che pure in questo caso la gente si sia divisa in due grandi fazioni contrapposte: da una parte gli "entusiasti" della scienza; dall'altra gli "scettici" ad oltranza.

In queste due fazioni si possono ovviamente rinvenire varie sottocategorie. Per esempio tra gli entusiasti abbiamo quelli per i quali la scienza è inappuntabile e descrive la realtà proprio così com'è; e poi abbiamo coloro che mantengono un approccio critico, riconoscendo i limiti del metodo scientifico, ma sottolineando anche che solo la scienza può davvero farci progredire. 

Tra gli scettici, invece, ci sono coloro che vaneggiano a proposito di una scienza cattiva e incapace; e poi chi, con sguardo molto diffidente, la ritiene strumento di potere in mano a burattinai senza scrupoli.

(è probabile che esistano altre sottocategorie, ma ai fini della presente disamina non sono interessanti).

L'estremismo antiscientifico possiamo liquidarlo come una sciocca recrudescenza di visioni oscurantiste che non hanno basi razionali (si veda a mo' di esempio il fenomeno culturale del "terrapiattismo"). Ma è la visione antitetica all'estremismo antiscientifico che offre i veri spunti di riflessione, vale a dire l'idolatria scientista.

Purtroppo, a favorire una forma di idolatria, di fideismo acritico nei confronti della scienza (credo in modo involontario) ci si mettono anche alcuni scienziati, come il noto geologo Mario Tozzi, bravissimo saggista e divulgatore scientifico televisivo.

Recentemente Tozzi ha pubblicato una serie di post per perorare la causa della scienza contro la cialtroneria di inesperti che parlano di cose per le quali non hanno la minima competenza, né tanto meno i titoli (si veda il post al seguente link: https://www.radioradio.it/2020/06/il-metodo-scientifico-non-e-democratico-ed-e-lunico-da-utilizzare-il-resto-sono-chiacchiere/).

L'intento di Tozzi sarebbe nobile, se non fosse che, per citare Marx, la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. Infatti, nell'invettiva di Tozzi ci sono delle concezioni quanto meno discutibili. Mi riferisco in primo luogo all'affermazione secondo cui la scienza sarebbe non-democratica, e in secondo luogo all'idolatria dei "dati" come fonte suprema di verità oggettiva.

Chi si occupa di ricerca scientifica (teorica, empirica, sperimentale) in qualunque campo del sapere, e chi ha adeguatamente studiato i problemi epistemologici che ne sono a monte, sa bene che le cose non stanno esattamente così.

Partiamo dal primo assunto errato: la scienza non è democratica.

Chi sostiene questa tesi vuole intendere che per stabilire una verità scientifica non si opera per decisione di una maggioranza. Ossia: i ricercatori che si occupano di comprendere un determinato fenomeno non votano l'ipotesi esplicativa che ritengono la più elegante, la più plausibile o la più auspicabile; bensì, le ipotesi devono essere verificate empiricamente e/o sperimentalmente, e solo quella che avrà superato la prova della verifica verrà accettata dalla comunità scientifica come corretta.

Ammesso (e non concesso) che questa procedura così semplice e lineare sia l'unico vero modo di produrre conoscenza, essa non avrebbe nulla di non democratico, anzi! Sarebbe la dimostrazione del contrario: la conoscenza scientifica è il non plus ultra della democraticità, proprio perché non esclude a priori, non ha pregiudizi e sottopone ogni ipotesi, ogni teoria, ogni ricerca e ogni scoperta al vaglio, al dibattito e all'analisi serrata da parte della comunità scientifica.

Quando gli scienziati affermano la non democraticità della conoscenza scientifica, in realtà, finiscono col mistificare il concetto stesso di democraticità, e nel contempo fanno un cattivo servizio alla percezione che i non addetti ai lavori hanno del metodo scientifico (o forse non lo hanno compreso bene essi stessi, il che sarebbe un guaio).

La democrazia, infatti, non è tanto e non è solo prendere decisioni con votazioni che garantiscano l'emergere di una opzione gradita alla maggioranza dei votanti. La democrazia è innanzitutto, in linea di principio, garanzia di corretta partecipazione e di inclusione adogmatica. Quello democratico, come ogni processo decisionale, deve infatti dotarsi di criteri razionali, per quanto essi siano imperfetti e limitati. E la comunità scientifica si è dotata dei propri criteri razionali (imperfetti e limitati) con i quali prendere decisioni sulla bontà di una ipotesi, di una teoria, di una ricerca.

Ergo: il dibattito scientifico è perfettamente democratico, tanto nei suoi principi quanto nelle sue più nobili applicazioni. Il problema sorge, invece, a causa delle storture e delle imperfezioni che Tozzi evita di nominare o che minimizza e che riguardano la cosiddetta "peer review" e la pubblicazione di articoli su riviste specializzate.

Tali storture hanno molto a che fare con un aspetto ben conosciuto da Tozzi, cioè quello della pubblicità della conoscenza scientifica. Essendo un divulgatore di fama ed essendo un promotore della cultura scientifica non dovrebbe essere favorevole a una visione elitaria della scienza (si veda nel post precedente il riferimento ad Aristotele), e sicuramente non lo è, per questo appare contraddittorio quando afferma che al di là degli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche ci sono solo chiacchiere che hanno poca o nulla validità conoscitiva.

Siamo proprio sicuri che la peer review sia così inappuntabile? Siamo proprio sicuri che il mondo accademico e scientifico sia così immune (è il caso di dirlo) da distorsioni di natura psicologica, ideologica o economica?

Nella prossima puntata vedremo proprio che le "chiacchiere" e l'immaginazione, in barba alla presunta tirannia dei "dati", hanno molta importanza nel processo di costruzione della conoscenza scientifica.

(continua...)


Riferimenti essenziali:

Carlo Sini, I filosofi e le opere, Edizioni Principato, Milano 1979.
Karl Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 2010.
Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 2009.

Commenti

  1. Il post suscita immediatamente una profonda riflessione sul concetto di "democrazia", con la subdola ambiguità che lo contraddistingue, sollevando una questione alquanto complessa che pone l'individuo nella condizione di "gettato" dinanzi ad un bivio, a maggior ragione, poi, se si tratta di scienza che, a mio modo di vedere, riconduce inevitabilmente a due fattori solo apparentemente ossimorici: mi riferisco alla deontologia, nella sua etimologia greca, e all'utilitarismo, nella sua accezione filosofica. Dico apparentemente proprio perché la deontologia, che governa la scienza, dovrebbe confluire nell'utilitarismo: compito della scienza non dovrebbe essere forse proprio quello di promuovere il benessere e la felicità degli uomini? E se la scienza opera per il benessere comune, come può non essere democratica? E ancora: se essa agisce in nome di interessi elitari, può considerarsi democratica? Infine, la scienza, motore del progresso, è sempre strumento di bene? La sete di potere è sempre in agguato! Ed ecco che il romanzo del nostro autore, attento scandagliatore dell'animo umano, "La congiura dei Simili", smaschera l'uomo, rivelandone la vera essenza, sempre pronto a rinnegare ideali e... qualunque forma di deontologia, in nome del DIO DENARO E DELLA SMANIA DI ONNIPOTENZA Ne consiglio la lettura.

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    Risposte
    1. Infatti la questione della scienza come promotrice del benessere collettivo è uno degli ulteriori aspetti cruciali relativi alla democraticità. Nei prossimi post dedicati all'argomento cercherò di sviluppare anche altri aspetti.

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