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Homo Tecnologicus - 1

A cosa serve la tecnologia? La risposta è molto semplice: serve a proteggere, potenziare ed espandere il nostro corpo (nel quale includo anche la mente, poiché essa non è disgiunta dal corpo, in barba a Pitagora, Platone, Cartesio e molti altri pensatori).

La tecnologia è parte preponderante della cultura e quindi della nostra natura. L'umanità sorge nel momento in cui nasce l'animale culturale. Dire che l'essere umano è l'animale culturale significa dire che è sociale/politico/artificiale. E questo a sua volta significa che l'umanità ha generato, anzi è essa stessa una sintesi tra natura e cultura, tra naturale e artificiale.

Locandine del film Metropolis (1926) di Fritz Lang (fonte: http://www.artearti.net/magazine/articolo/metropolis)

Ancora una volta i manicheismi dialettici non hanno ragion d'essere: nell'Uomo non c'è distinzione tra Natura e Cultura. Il mito di Prometeo ce lo insegna (vedi qui): la capacità, ossia la tecnica di appiccare e controllare il fuoco è l'atto simbolico di fondazione della nostra specie (infatti la costruzione di oggetti artificiali, quali utensili in pietra, è precedente al genere Homo) assieme all'invenzione del primo rituale sociale.

È possibile, se non probabile, che l'invenzione del fuoco coincida con l'attuazione del primo rito. Nelle culture premoderne e tradizionali officiare rituali attorno a un falò era un fatto sociale tipico, le cui vestigia si mantengono intatte anche nella nostra odierna società occidentale iper-tecnologica, tra le manifestazioni di alcune festività, religiose e non: in diversi centri dell'Italia meridionale, per esempio, si appiccano falò nel giorno di San Giuseppe o nel giorno di Ognissanti; in altre località si festeggia in questo modo Sant'Antonio Abate; in altre ancora i falò sono associati ai carnevali tradizionali. Ma le ricorrenze in cui si appiccano falò rituali esistono tuttora in diverse parti del mondo e nelle più svariate circostanze.

Fuoco, tecnologia e narrazioni collettive (politiche, religiose, scientifiche) vanno dunque a braccetto. Il fuoco è strumento di manipolazione della materia e del cibo (si veda Il crudo e il cotto di Lévi-Strauss, edito Il Saggiatore). Esso è associato allo sviluppo tecnologico in campo professionale (artigianato, arte culinaria, agricoltura, industria) e in quello militare. Non a caso i due campi che tutt'oggi fungono da traino al progresso della tecnica.

Morale della favola: senza tecnologia non c'è umanità. Ma questa favola ha una duplice narrazione, utopica e distopica.

Ai tecno-entusiasti (o tecnofili, se si preferisce) possiamo associare movimenti culturali e politici quali il transumanesimo e l'accelerazionismo; mentre sul versante dei tecnofobi e tradizionalisti possiamo prendere ad esempio i primitivisti.
Transumanesimo e primitivismo sono dunque le due posizioni antitetiche: per gli uni l'essere umano è destinato a superare se stesso, al fine di potenziare le proprie facoltà fisiche e cognitive, per mezzo di un vero e proprio atto di evoluzione artificiale, fino a divenire una creatura, appunto, bio-artificiale; per gli altri la deriva tecnologica rappresenta un progressivo processo di disumanizzazione, una realtà distopica che rischia di condurre la nostra specie (e forse l'intero ecosistema terrestre) verso l'ecatombe (estinzione e/o sostituzione dell'umano con il meccatronico, la famigerata intelligenza artificiale).

Tra queste due posizioni estreme e opposte qualcuno potrebbe indicare la soluzione, in modo semplicistico, citando il motto medievale di derivazione aristotelica: in medio stat virtus.
Peccato che, come spesso accade, non è affatto vero che la virtù sta nel mezzo, poiché tale ragionamento ingenuo si basa sull'assunto implicito e scorretto che tra due posizioni opposte si debba tracciare una linea e quindi un continuum monodimensionale.
Ma le posizioni transumaniste e primitiviste, al pari di ogni narrazione culturale, si muovono nell'alveo di una straordinaria complessità etica, politica, scientifica, sicché se una sintesi è possibile non può trovarsi certo a metà strada. La sintesi, in senso hegeliano - cioè come superamento comprendente - dovrebbe produrre un sistema interpretativo in grado di emergere in un differente piano di complessità, come qualcosa che contiene, seleziona, ridefinisce e va oltre i sistemi da cui è partito.

Migliorare le nostre prestazioni fisiche (in ogni campo), allontanare la sofferenza e la fatica, procrastinare la vecchiaia, incrementare le potenzialità percettive, intellettive e psichiche in senso lato, tutto questo si trova al fondamento della storia umana. Da un certo punto di vista, noi siamo già transumani, lo siamo costitutivamente: oggi usiamo occhiali e lenti a contatto che le popolazioni antiche non avevano e così abbiamo risolto molti problemi relativi al senso della vista; abbiamo protesi che sostituiscono arti amputati e pacemaker che rimettono in sesto muscoli cardiaci; più semplicemente indossiamo abiti migliori per fattura e funzionalità rispetto a quelli di due secoli addietro; e l'elenco potrebbe essere lunghissimo (tralasciando, poi, l'aspetto estetico e quello emotivo che tanta importanza rivestono nelle nostre esistenze e nel nostro rapporto con il progresso materiale).
Ma da questo ad abbracciare la tecnologia in modo acritico ce ne passa.
Il discrimine cruciale mi sembra il seguente: la tecnologia deve essere dominata dall'uomo e non viceversa. E noi siamo sicuri, giusto per fare un esempio, di dominare i nostri smartphone? Non è forse possibile che ne siamo succubi, almeno in certa misura?

Commenti

  1. Gli interrogativi che aprono e concludono il post rivestono un carattere emblematico, in quanto mettono in luce la complessa problematica che caratterizza il rapporto uomo-tecnologia. Se è vero che la tecnologia è nata con l’uomo ed ha accompagnato lo sviluppo di Homo sapiens, artificializzandolo sempre di più, è altrettanto vero che essa acquista un senso solo se continua ad esistere come " strumento nelle mani dell'uomo stesso"; d’altra parte non si può negare che il rapporto uomo-macchina costituisce una complessa interazione con forti influenze reciproche Si demonizza o si osanna la tecnologia come se si trattasse di qualcosa di trascendentale e di indipendente rispetto al suo creatore, ma si può affermare che Il dualismo manicheo Bene / Male è insito in essa in relazione all'uso che se ne fa (ed ecco ricomparire il concetto di relativismo!). L'uomo dovrebbe sviluppare la capacità di saper tirar fuori la Luce e sconfiggere le Tenebre insidiose che si nascondono subdolamente dietro all'’apparente assoluta bontà del progresso tecnologico. Esso può sicuramente promuovere, per esempio, la sopravvivenza dei rapporti sociali ma, paradossalmente, può decretarne anche la morte.
    Molto interessante è la teoria dell’antropologo Arnold Gehelen, secondo cui la tecnologia è stata da sempre il mezzo utilizzato dall’uomo per supplire alle sue carenze fisiche e mentali e quindi è il prolungamento dei sensi, costituendo una sorta di estensione del suo corpo, delle sue capacità fisiche e psichiche. Ma il problema, a mio avviso, nasce proprio quando la tecnologia in senso ampio, non solo quella dell'informazione, prende corpo e diventa creatura autonoma, indipendente, dominatrice. Di ciò divenne inconsapevole profeta, con la sua spiccata sensibilità, lo stesso Italo Svevo con la paura nei confronti del futuro nucleare, quando ne “La coscienza di Zeno” ci presenta l’immagine dell’uomo occhialuto che "costruisce gli ordigni fuori dal suo corpo", ma nessuna salute e nobiltà è presente in chi li usa; la furbizia dell’uomo cresce in proporzione alla sua debolezza: "I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto”. In definitiva Svevo delinea il possibile esito del "mondo di macchine ", quel mondo che finirà proprio per mano “di un uomo.... un po’ più malato degli altri”.

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  2. Errata corrige: alla parola
    " reciproche" manca il punto per difetto di digitazione.

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