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La chimera della razionalità


Il venditore di corpi (Del Bucchia 2017) è il romanzo con il quale provo a scandagliare, nei limiti delle mie possibilità e delle esigenze narrative specifiche, uno dei temi che più mi appassionano, vale a dire la continua lotta umana tra razionalità e irrazionalità. Siamo esseri razionali oppure no? Emotività e razionalità convivono? E se sì, in che modo?

In fin dei conti sappiamo dire che cos'è la razionalità? Le scienze e la filosofia ci hanno fornito una risposta soddisfacente? E a proposito delle nostre emozioni che cosa sanno dirci?

Per il sottoscritto le emozioni fondamentali sono il desiderio e la paura, a cui associare rispettivamente le sensazioni di piacere e di dolore. Si desidera ciò che provoca piacere; si teme ciò che provoca dolore. Oppure: desideriamo ciò che ipotizziamo possa procurarci piacere e benessere; temiamo e rifuggiamo ciò che ipotizziamo possa procurarci sofferenza (psicologica e/o fisica). Senza le emozioni ci saremmo estinti subito, perciò le emozioni, almeno in certa misura, sono "funzionali" alla sopravvivenza dell'individuo e di conseguenza della specie.

Dunque, le emozioni hanno un qualche legame stringente con la razionalità, come ci raccontano per esempio Antonio Damasio (Emozione e coscienza, Adelphi), Maria Grazia Turri (Dalla paura alla parola, Mimesis) e tanti altri studiosi afferenti alle più disparate discipline, dalle neuroscienze alla filosofia, passando per la biologia evolutiva e la sociologia, e via discorrendo.

Però, le emozioni possono anche generare pregiudizi pericolosi. Anzi, la stessa percezione di minaccia può farci diventare aggressivi nei confronti dell'altro, a prescindere dalla sua effettiva pericolosità. Non a caso la diversità viene percepita spesso come minacciosa, per la semplice ragione che sfugge alle categorie ordinatrici e normalizzanti di cui ci serviamo per definire il nostro orizzonte di senso (individuale e/o collettivo). In parole semplici, la diversità minaccia il nostro mondo ordinato, la nostra narrazione (partigiana) della realtà, sicché può produrre in noi una reazione emotiva quanto meno di diffidenza, che può talvolta trasformarsi in autentica aggressività e nelle più disparate forme di discriminazione e violenza. Le emozioni, dunque, possono a volte renderci estremamente irrazionali.

La natura delle emozioni e il loro legame con la razionalità delle funzioni cognitive superiori sembrano metterci di fronte al fatto che il male di cui noi esseri umani siamo capaci sia esso stesso intrinseco alla nostra natura psico-corporea e quindi alla nostra storia evoluzionistica. Per soddisfare un nostro desiderio/bisogno (presunto o reale) possiamo procurare sofferenza ad altri; per difenderci da una minaccia (presunta o reale) possiamo procurare dolore a un nostro simile, che in realtà percepiamo come diverso, almeno in minima parte.

Da molti anni mi interrogo (senza ovviamente avere pretese di verità, ma cercando vie percorribili di riflessione) su una possibile soluzione di questo annoso problema: noi esseri umani siamo condannati a convivere con il male di cui siamo autori? Oppure è possibile una sintesi tra emozione e ragione che ci consenta di fuoriuscire da questo che in apparenza è un vicolo cieco?

La questione mi sembra ancora più stringente nei mesi di emergenza che stiamo vivendo. A quanto pare la condizione di "eccezionalità", di "emergenzialità" acuisce gli istinti più aggressivi dell'essere umano, manifestati anche solo con le parole. Parole veicolate sia dai social media e dalla galassia Internet, sia dai media mainstream, anche se con premesse e finalità che sembrano antitetiche. Parole che vengono profferite nel nome della razionalità, ma che hanno un forte sapore di emotività.

Ciò che mi appare verosimile è che la paura del contagio (sublime archetipo narrativo e perciò antropologico) stia suddividendo le persone in due macro-categorie: da una parte ci sono coloro che hanno paura (se non terrore) del virus denominato SARS-CoV-2 e sostengono, anche solo implicitamente, che ogni mezzo politico-tecnologico valga al fine di sconfiggere la pandemia; dall'altra ci sono quelli che hanno paura (se non terrore) dell'instaurarsi di un regime autoritario fondato su un capitalismo sanitario-scientista-digitale in grado di attuare il controllo totale del corpo e della mente degli individui, con la scusa di dover sconfiggere la (falsa) pandemia covid-19.

La due suddette macro-categorie socio-antropologiche condividerebbero quindi un comune denominatore, entrambe sarebbero cioè caratterizzate da quello stato psichico di fondo che corrisponde alla paura del contagio. Per gli uni il contagio del virus; per gli altri il contagio della deriva autoritaria. La cosa interessante è che queste due fazioni hanno cominciato a darsele di santa ragione, appunto con le parole, usando un linguaggio sovente molto aggressivo e denigratorio nei confronti degli esponenti della parte avversa, costruendo barricate e favorendo l'insorgere di una contesa che rischia sempre di sfociare in prese di posizione ideologiche e manichee (naturalmente questa è una semplificazione, per cui esistono posizioni molto più sfaccettate e meno nette).

In ogni caso, questo potrebbe essere un indizio di come lo "stato di eccezione" sia per sua natura generatore di "mostri", proprio in quanto condizione che esacerba le pulsioni ancestrali. Insomma, entrambe le fazioni fanno appello tanto a una presunta superiore razionalità, quanto a una altrettanto presunta superiorità morale per smentire, attaccare e screditare la controparte, come se si trattasse di una battaglia per il trionfo della ragione e dell'etica sul pensiero oscurantista del proprio avversario. Ma un simile atteggiamento speculare, fervente e indignato, non fa che dimostrare come la reazione emotiva - da guerra di religione - sia il vero motore che anima ciascuna delle due posizioni.

E dunque a chi appartiene la razionalità? Come facciamo a sapere che non siano le nostre emozioni ataviche a guidarci sempre e comunque e che la razionalità non sia altro se non una chimera alla quale ci aggrappiamo per tenere a bada le nostre paure o addirittura per giustificarle?

Commenti

  1. Brillanti riflessioni che conducono ad una perfetta contestualizzazione del romanzo "Il venditore di corpi", a sua volta originale connubio tra giallo, horror e noir: la violenza è una forza insita nella natura umana, oggi più che mai. La paura? Matrigna cattiva, generatrice di una violenza ancora più atroce! L' articolo fa scaturire interesse e curiosità nei riguardi del romanzo, avvolto da un alone di mistero che cattura il lettore dalla prima all'ultima pagina. Ne consiglio la lettura. Elsa

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